martedì, aprile 29, 2025

Le affermazioni di Papa Francesco sulla pace: considerazioni e valutazioni

Circa 300.000 anni fa è apparsa sul nostro pianeta una nuova specie di essere vivente, ovvero l’Homo sapiens, il risultato di un'evoluzione durata almeno 3,5 o 4 milioni di anni. Secondo i biologi, noi non siamo geneticamente molto diversi rispetto a quel primo Homo sapiens. Tuttavia, la popolazione è cresciuta, da pochi individui a oltre 8,5 miliardi, dimostrando capacità di adattamento e diffusione difficilmente riscontrabili in altre specie viventi.

Per almeno 280-290 mila anni l’uomo ha costituito delle comunità nomadi che si spostavano sia per la ricerca di cibo sia per trovare zone climaticamente più favorevoli. Quando l’uomo è diventato stanziale, ha formato comunità che dovevano salvaguardare il territorio dal quale ottenevano tutti i mezzi per il sostentamento. Se la comunità cresceva, doveva necessariamente espandersi su una maggiore porzione di territorio. Se non vi era territorio disponibile, spesso si occupava quello di un'altra comunità, il che è considerato come l'origine della conflittualità tra i gruppi di individui.

La “conflittualità” tra gruppi di individui della stessa specie per il possesso di porzioni di territorio è tipica e naturale per moltissime specie di esseri viventi, come si può osservare nella territorialità dello scoiattolo o dei grossi felini.

Con lo sviluppo del pensiero umano, emerge una nuova dimensione sociale. Il messaggio evangelico di Cristo propone una visione universale. Con il battesimo, l'uomo entra in una nuova dimensione sociale nella quale non ci sono più distinzioni tra gruppi e comunità, eliminando il principio di territorialità e confini da difendere o ampliare. Lo “spazio vitale” diventa quello del pianeta senza più nazioni. In questo contesto, i conflitti e le guerre non avrebbero più ragione di esistere.

Questo approccio, sebbene utopico, è coerente con l’insegnamento evangelico e dovrebbe essere considerato come premessa di qualunque discussione sulla guerra.

Papa Francesco parla di pace “universale”, però fa sempre riferimento alle nazioni in guerra ad esempio quella Ucraina o al popolo ucraino, così come alla nazione Russa, mai io ricordo un riferimento esplicito alla universalità, ovvero al superamento della nazione intesa come elemento divisivo tra le genti per dare origine ad un profondo cambio di paradigma. Dire che i contendenti sono tutti colpevoli e/o tutti innocenti non risolve il problema.

Non c’è una pace giusta o ingiusta nel nostro mondo ci sono solo rapporti poco o tanto conflittuali. Se i conflitti socioeconomici sono contenuti e “confinati” in accordi / trattati riusciamo ad evitare la guerra ma se si ritiene che sia necessario ed indispensabile uno “spazio vitale” allora si arriva alla guerra.

Questo è, tristemente, il contesto attuale e la voce di noi cristiani e anche di colui che tutti ci dovrebbe rappresentare come “pastore” universale non riesce a demolire il primordiale tabù del confine tra le nazioni e le diverse aspettative delle popolazioni.

La guerra russo-ucraina ne è un esempio. La Russia rivendica territori. Ad esempio, la Crimea venne conquistata in epoca zarista da Caterina II “la Grande” nel 1783 per un accesso sicuro al Mar Nero, garantirsi una “sicurezza” strategica nei confronti dell’Impero Ottomano e per ulteriori espansioni territoriali.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Crimea fu occupata dalle truppe tedesche e successivamente liberata dalle forze russe, entrambi gli eserciti causarono notevoli distruzioni. In quegli anni, l'URSS controllava tutte le Repubbliche Sovietiche, seguendo le politiche stabilite a Mosca. Nel 1954, Nikita Khrushchev decise di trasferire l'amministrazione della Crimea dalla Russia all'Ucraina.

In quell’anno si tratta di una pura formalità sempre di URSS si tratta.

Nel 1991 con il crollo dell’URSS tutto cambia, l’Ucraina diventa indipendente e “possiede” territorialmente anche la Crimea.

L’attuale rivendicazione territoriale della Russia nei confronti dell’Ucraina è legittima? Sulla base degli attuali trattati la risposta è semplice, NO! ma se incominciamo a dire però, nel 1783 e anche prima nel 1600, ecc... Che cosa potrebbe dire o fare l’Italia, ai tempi dell’Impero Romano la Gallia, l’Inghilterra, ecc... erano territori “nostri” li abbiamo perduti però … Insomma, non si finirebbe più.

Dopo due guerre mondiali e la creazione di “blocchi” tra le nazioni i governanti, anche sulla basse delle sollecitazioni popolari, hanno maggiormente sviluppato un atteggiamento di protezione dello status quo.

Si veda la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, a scopo dichiaratamente difensivo della NATO. Anche l’ URSS aveva lo scopo di mantenere uno status protettivo per le nazioni che ne facevano parte.

Negli ultimi 40-30 anni da una situazione di immobilismo territoriale si è passati ad una fase più dinamica condizionata da molti fattori, ne cito solo alcuni: la diversità nello sviluppo demografico, aree ad alta crescita si contrappongono ad aree in calo demografico o almeno ad incremento modestissimo; lo sviluppo di tecnologie avanzate; condizioni di lavoro differenti e quindi costi del lavoro differenti, conviene produrre magliette e scarpe in Cina o in Vietnam piuttosto che in USA o in Italia, la disponibilità di fonti energetiche a basso costo, ecc…

Tutte queste dinamiche hanno impattato sulle società nel loro complesso ed hanno creato tensioni tra nazioni confinanti. In molti casi tutto si è “risolto” con accordi commerciali che potevano garantire reciproci vantaggi e le questioni militari sono rimaste sullo sfondo, diciamo accantonate, anche perché nessuno a voglia di fare la guerra. Ma in altri contesti lo scontro è diventato cruento e l’unico modo per risolverlo è quello della guerra.

Fare una guerra è molto costoso e mi sono chiesto quali dati si possono reperire sul database della World Bank, sempre molto dettagliato, e facilmente utilizzabile per analisi globali.

Il database pubblico contiene quasi 9 milioni di dati riferiti a tutte le nazioni e riguardanti più 1500 indicatori socioeconomici.

Con Donald Trump alla casa Bianca e la guerra Russo-Ucraina il dibattito sulla spesa per la difesa e il “riarmo” si è fatto particolarmente acceso.

Mi sono chiesto se è possibile osservare una qualche relazione tra spesa militare e “propensione” alla guerra, può essere vera l’affermazione che se si comprano armi prima o poi si useranno e quindi si farà una guerra?

Analizziamo un po' di dati.

Nel 2023 l’ammontare totale della spesa militare[1] mondiale è pari a poco meno di 2.400 miliardi di dollari pari al 2,35% del PIL, quasi 100 miliardi in più del PIL dell’Italia.

Una spesa enorme. Oltre I’87 % di questa spesa totale è sostenuta da 20 paesi, il primo, gli USA con oltre il 38% della spesa, seguono Cina (12%), Russia(4,6%) e India (3,5%), l’ultimo è l’Olanda che nel 2023 spende “solo” 16 miliardi di dollari pari allo 0,7% del totale. Nello stesso anno l’Italia spende 35 miliardi di dollari. Si consideri che a valori costanti 2015 il PIL dell’Olanda è quasi la metà di quello dell’Italia.

Il grafico 1, sotto riportato, mostra l’andamento dell’incidenza % delle spese militari sul PIL nel periodo dal 1960 al 2023. Per la Cina i dati sono disponibili dal 1990, mentre per la Russia solo dall’anno 2000. Ad eccezione della Russia l’incidenza % delle spese militari sul PIL si mantengono sostanzialmente stabili con piccoli incrementi a partire dal 2022.

La Russia al contrario ha incrementato la spesa nel 2022 e 2023, ovvero con l’inizio della guerra.


È interessante osservare come i dati statistici non riescono ad illustrare una “propensione” al riarmo che possa far emergere la volontà programmata per una aggressione bellica. Lo stato di Israele ha vissuto nel periodo 1960-2023 noti periodi in guerra, quindi è comprensibile che lo stato destini una quota significativa del PIL alle spese militari si aggirano attorno al 5%, ma solo negli anni di guerra si osserva un picco nelle spese e non prima.

Se si osservano gli andamenti si potrebbe concludere che ogni nazione, in periodo di pace, spende una certa somma di danaro tale da permettere il mantenimento di una struttura organizzativa militare, il più efficiente possibile, che in caso di conflitto, possa essere mobilitata, con successo, per la difesa da una eventuale aggressione.

Nel grafico 2 sono riportati i tassi annui di variazione di tre grandezze significative: l’ammontare del PIL espresso in dollari a valori correnti, il totale della popolazione e l’ammontare delle spese militari, anch’esse espresse in dollari a valori correnti.

Come si può facilmente constatare le spese militari per quasi tutti i paesi sono cresciute, anche se di poco, con percentuali non molto differenti rispetto al PIL e l’incremento o decremento della popolazione non ha influenzato il decisore nelle spese militari.

Nel confronto anno 2000 e anno 2023 è ovvio che le due nazioni in guerra come Ucraina e Russia hanno incrementato lo spese militari. Situazione un po' più anomala è quella dell’Algeria. Il considerevole incremento pare essere dovuto alla necessità di incrementare le difese per evitare possibili tensioni nelle regioni del Sahara attualmente oggetto di contenzioso territoriale. Anche la Polonia ha incrementato le spese militari, atteggiamento più che comprensibile viste le non poche tensioni ai sui confini orientali.


Il database della World Bank riporta che nell’anno 2020 le forze armate a livello mondiale contano poco più di 27,4 milioni di soldati (vedi tabella 1a, 1b, 1c). Solo 4 nazioni hanno più di un milione di soldati e sono rispettivamente l’India con oltre 3 milioni, la Cina con 2,5 milioni, Russia e USA con ca. 1,5 milioni. Avere più o meno soldati è ovviamente importante, possono servire come “massa d’urto” ma è altrettanto importante capire se sono ben armati. Per quest’ultimo aspetto la spesa totale è stata divisa con il totale degli effettivi ed emerge un “quadro” che mette in evidenza le notevoli differenze tra gli eserciti.

Gli USA spendono per ogni effettivo 558 mila dollari, la Cina 101 mila dollari, la Russia 42 mila ed infine l’india 23 mila. Al fine di comprendere meglio l’effettiva superiorità di questo o quell’esercito i dati precedenti andrebbero maggiormente indagati ed investigati però è innegabile che se spendo 5 o 10 volte tanto per ogni soldato ciò significa che sono dotato di un armamento più moderno e senza dubbio tecnologicamente avanzato. La potenza mondiale degli USA è indubbia, così come il mantenimento di basi all’estero, flotte in ogni oceano, aerei e satelliti in ogni cielo abbiano costi enormi.

Dalla analisi, si veda anche il dato delle spese militari per abitante, stupisce che nazioni pacifiche abbiano spese per soldato assai cospicui. In un range di spesa tra i 450 e i 200 mila dollari si collocano, in ordine decrescente le seguenti nazioni: Australia, Lussemburgo, Svezia, Regno Unito, Danimarca, Canada, Olanda, Germania, Norvegia, Svizzera, Nuova Zelanda, Kuwait, Arabia Saudita e Belgio.

È forse troppo affermare che tutte queste nazioni che spendono così tanto per ogni soldato in realtà sono tra le più “pacifiche”. La Svezia fino all’anno scorso era neutrale, così come lo è tutt’ora la Svizzera.


Alcune conclusioni.

Primo. La spesa militare corrente non rappresenta l’elemento principale che da origine ad un conflitto. Gli stati non si preparano più alla guerra, in pratica cercano di avere dei sistemi di difesa in grado di rispondere efficacemente ad una aggressione militare per tutelare i propri cittadini.

Quando poi sono in guerra sono in grado di mobilitare molte risorse e pertanto, solo durante il periodo di conflitto le spese militari aumentano enormemente. Nel 2023 l’Ucraina ha speso il 36% del suo PIL per la difesa.

Sulla base dei dati presentati l’affermazione che l’incremento delle spese militari porti inevitabilmente alla guerra non trova fondamento, anzi si potrebbe dire che i paesi che più spendono, in relazione all’esercito che possiedono sono quelli che sono più in pace.

Secondo. Attualmente tra le nazioni vi è un elevato squilibrio nella spesa militare. Gli USA detengono un poco inviabile primato, spendendo più del 3% del PIL, ma lo esige la loro dimensione “planetaria”. Se il presidente Trump vuole diminuire l’impegno finanziario vuol dire che intende rinunciare alla difesa USA di alcune aree geografiche più o meno estese.

Le nazioni della NATO, hanno speso nel 2020 1.1 miliardi di dollari. L’elaborazione dei dati non mi permette di stabilire quanto gli USA spendono per la difesa europea. Supponendo, in modo spannometrico, ma i militari lo sapranno bene, che gli USA spendono per l’Europa il 50 % della loro totale si ottiene ca. 350 milioni di dollari, dato non molto distante dai 340 milioni di dollari che spendono le nazioni NATO escludendo gli USA.

Molti commentatori hanno osservato che se gli USA pensano che i membri della NATO debbano spendere il 3% del PIL per la difesa, i finanziamenti dovrebbero aumentare di oltre 270 miliardi di dollari. Questo significherebbe per gli USA rinunciare alla propria leadership. Ma agli USA conviene veramente?

È molto probabile che non sia affatto necessario raddoppiare la spesa per armamenti ma razionalizzare quello che si sta facendo ovvero, essere in possesso di una struttura efficiente e flessibile in grado di dissuadere un eventuale aggressore. La NATO, USA esclusa, è in grado di dispiegare oltre 2,5 milioni di soldati, siamo proprio sicuri che ne siano necessari così tanti? A mio parere possono essere molti di meno ma meglio armati e meglio dislocati. Insomma si può fare meglio spendendo poco di più.

Terzo. La guerra Russo-Ucraina. Nel 2020, confrontando i dati della spesa militare della Russia con quelli dell’Ucraina, si sarebbe potuto concludere che l'Ucraina sarebbe stata rapidamente conquistata dalle truppe russe. Tuttavia, la situazione si è evoluta in maniera differente. Sebbene il sostegno occidentale sia stato fondamentale per l'Ucraina, anche la preparazione militare interna ha giocato un ruolo cruciale nella resistenza ucraina che continua da oltre tre anni.

Dal punto di vista strategico-militare, la Russia ha incontrato difficoltà significative, nonostante la sua superiorità numerica in termini di forze armate. Nonostante l'impiego di tutte le risorse disponibili, esclusi gli ordigni nucleari, le conquiste militari sono state ottenute a un costo umano elevatissimo. Con un esercito di oltre 1,5 milioni di soldati, la Russia ha dovuto ricorrere all'impiego di soldati nordcoreani e alla liberazione di detenuti per integrare le proprie fila.

Questo conflitto ha dimostrato che la sola presenza di soldati non è sufficiente e che alcune armi leggere possono avere effetti devastanti in aree ristrette. Anche se è difficile stabilire l'effettiva condizione dell'esercito russo, è chiaro che lo sforzo economico necessario per sostenere questa guerra non è più a lungo sopportabile. Quando la guerra finirà, la Russia si ritroverà con un'economia compromessa. Putin ne è consapevole e per questo è determinato a ottenere significative conquiste territoriali a tutti i costi.


[1] I dati sulle spese militari del SIPRI derivano dalla definizione della NATO, che include tutte le spese correnti e in conto capitale per le forze armate.

sabato, agosto 31, 2024

Frasi sulle quali riflettere

Dopo aver letto il bellissimo libro di Alessandro Barbero La Battaglia – Storia di Waterloo, ho riletto l’ultimo volume su 11 della Storia del Consolato e dell’Impero di Napoleone I, scritto da Adolphe Thiers dal 1845 al 1862 perché sono rimasto stupido della mancata citazione di un opera che descrive lo svolgimento della battaglia in modo molto simile a quello riportato da Barbero, anche se quest’ultimo riporta più dettagli decisamente importanti.

L’opera di Thiers termina con queste frasi scritte nel 1862 e di cui si dovrebbe fare tesoro: 

Chi mai avrebbe adunque potuto prevedere che il savio (Napoleone n.d.a) del 1800 sarebbe il dissennato del 1812 e del 1813? Si, che sarebbesi potuto prevederlo, col ricordarsi che l'onnipotenza umana reca in un'incurabile follia, la tentazione, cioè, di tutto fare quando si può tutto fare, anco il male dopo il bene. Cosi in questa grande vita, nella quale i militari possono tanto imparare  così anche gli amministratori ed i politici, vengano i cittadini alla volta loro ad impararvi una cosa, ed è questa: che non vuolsi mai abbandonare la patria in balia d’un uomo, quale ch’ei sia, quali che siano le circostanze !

Nel dar termine a questa Storia dei trionfi e delle sciagure della Francia, l’Autore manda un ultimo grido che gli sfugge dal cuore, grido sincero che vorrebbe far giungere al cuore d'ogni Francese, nell'intendimento di persuadere a tutti che non vuolsi mai alienare la propria libertà, e, per non essere esposti ad alienarla, non abusarne mai.

Frasi purtroppo poco lette se si pensa a quanti dittatori e capi di governo si sono creduti o si credono onnipotenti.

Mario Monti nel suo ultimo libro "Demagonia" riporta come la quasi maggioranza dei cittadini dei paesi dell'OCSE è insoddisfatta di come funziona la democrazia e ne abusano al tal punto che danno spazio e seguito a personaggi come il generale Vannacci o a tipi come Donald Trump candidato alla Presidenza degli Stati Uniti. Dobbiamo sempre tener presente il grande pericolo che si corre con "l'uomo solo al comando" e se ci guardiano attorno ce ne sono veramente troppi !!!

venerdì, agosto 30, 2024

Formaggi “grana” tipicità e qualità tradita !

In questi giorni il canale televisivo Rai Storia presenta e promuove i suoi interessantissimi programmi con un motto molto significativo e condivisibile: “Il futuro è un viaggio nel passato”; se non si conosce la storia si corre il rischio di costruire il futuro su basi incerte e non vere, quindi la probabilità di un fallimento delle nostre attività future è molto elevata.

Le vicende che hanno portato al riconoscimento della tipicità del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano sono un esempio di come è stata “manipolata” la vera storia dei formaggi tipo grana.

Sulle home page dei due consorzi ci sono due frasi che fanno riflettere.

Sul sito del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano (https://www.parmigianoreggiano.com/it) è messa in evidenza la scritta: “Parmigiano Reggiano Quello vero è uno solo

“Da quasi mille anni abbracciamo i valori italiani” è la scritta che viene evidenziata sulla homepage del consorzio del Grana Padano. (https://www.granapadano.it/it-it/)

Entrambe queste affermazioni non sono vere, e in questo post lo spiegherò sulla base di una documentazione storica difficilmente contestabile.

Il Parmigiano-Reggiano è uno dei formaggi di tipo “grana” e la sua origine è conseguenza di un atto legislativo come ho evidenziato nel post del 22 agosto 2024.

Preso atto del provvedimento legislativo che ha riconosciuto il Parmigiano-Reggiano il 22 dicembre del 1955 viene pubblicato sulla GU il DPR 1269 del 30 ottobre 1955 nel quale viene riconosciuto il Grana Padano.

La legge, quindi, sancisce che i formaggi grana “tipici” sono due.

Nel prospetto in calce al post metto a confronto le caratteristiche dei due grana così come indicato nel DPR 1269 e si potrà constatare come diventa difficile affermare quale dei due è veramente “tipico”.

La tipicità, quindi, non è più il risultato di un know-how tradizionale che utilizza in modo esclusivo le risorse di un territorio definito, cosa avvenuta nel corso di un millennio, ma conseguenza di un atto legislativo.

Se la tipicità di un prodotto viene definita dalla legge, la modifica della legge garantisce la tipicità formale del prodotto, ma non certamente quella sostanziale.

Capite bene il paradosso, ovvero, nel tempo la legge viene modificata per adeguarsi alle innovazioni tecnologiche e soprattutto per nuove esigenze del mercato, quindi il prodotto cambia ma, data la legge, il formaggio, o il prodotto, è sempre considerato tipico come se nulla sia cambiato rispetto ad un contesto originale.

La tipicità diventa, pertanto, una opportunità per elaborare strategie di marketing più o meno aggressive con l’obiettivo principale di attrarre il consumatore come avviene per qualunque prodotto immesso sul mercato.

Il Parmigiano Reggiano è veramente il formaggio grana “vero”?.

Elia Savini dell’Istituto Sperimentale di Caseificio di Lodi pubblica nel 1947 la seconda edizione di un piccolo volume che titola” Il formaggio di grana”. (Tipografia “La Moderna” – Lodi)

Nell’introduzione scrive: “Si chiama grana quel formaggio tipico italiano cotto, ad acidità di fermentazione e a maturazione lenta, che è caratterizzato dalla struttura granulare della pasta a frattura concoide, carattere questo che ha determinato il suo nome, e che unitamente alla sua fragranza, al sapore aromatico, gradevole e sostanzioso, al suo profumo intenso, alla squisita sua bontà, come alla sua durezza e alla sua resistenza, alla notevole massa di latte occorrente nella fabbricazione, come alla lunghezza della sua maturazione ed alle difficoltà della sua tecnologia, ne fanno uno dei principalissimi tipi di formaggio, per cui nessun altro tipo di cacio lo può avvicinare ed eguagliare.”

Il Savini prosegue mettendo in evidenza come le caratteristiche di cui sopra sono ovviamente condizionate dalle specifiche caratteristiche delle zone nelle quali viene prodotto ed è per tale ragione che: “Così si ebbero, in epoca recente (1947 n.d.a), le denominazioni di: grana lodigiano (per estensione anche grana lombardo), per quello caratteristico del circondario di Lodi e della Bassa Lombardia; e di grana reggiano-parmigiano, per quello fabbricato per quello fabbricato nelle provincie omonime e nelle zono a queste finitime.”

Nella nota storica il Savini si pone la domanda di dove e quando è iniziata la fabbricazione del formaggio grana. Vi sono testimonianze documentali di una produzione casearia databile tra il X e XI secolo e in un così lungo periodo di tempo si sono affinate ed evolute tecniche casearie differenti e strettamente legate al territorio e alla necessità di disporre una grande quantità di latte, quest’ultima condizionata allo sviluppo dell’allevamento bovino. Proprio per queste ragioni ritiene che: “… le polemiche che ogni tanto affiorano e che ritornano a seconda delle fortune di questo formaggio, lasciano il tempo che trovano e non possono risolvere la vexata quaestio, e cioè, dove è nato il formaggio grana?”

Dagli anni ’50 ad oggi ci sono state evoluzioni normative importanti, soprattutto quelle che si riferiscono ai regolamenti comunitari e l’istituzione del riconoscimento europeo delle DOP (Denominazioni d’Origine Protette, primo regolamento è datato 1992) con la emanazioni di disciplinari più rigorosi e dettagliati.

A dimostrazione che la tipicità è diventata uno slogan pubblicitario è bene riflettere sui dati che presento nella seguente tabella riferiti alla produzione di formaggio “grana

Produzione di formaggio "grana" nella provincia di Reggio Emilia

Anno

Caseifici

Latte lavorato
Q.li

Forme
prodotte

Formaggio prodotto
Q.li

1869

272

           195.922

             33.778

          10.133

1953

n.d

        1.700.000

           425.000

        127.500

2023

77

        6.172.117

        1.217.380

        492.436

Fonte dei dati:

1869 – Bollettino del Comizio Agrario del circondario di Reggio Emilia – Anno v. dicembre 1872 – numero 6 – Risposta della Presidenza alla circolare ministeriale n. 193

1953 – Elaborazione sui dati illustrati dal Prof. Folloni, Ispettore compartimentale della regione Emilia-Romagna pubblicati sulla “Gazzetta Agricola” del 23 novembre 1953 – n° 67.

2023 – Elaborazione su dati del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano (sito web)

Per fare considerazioni sui i dati della produzione di formaggio su un periodo di oltre 150 anni si dovrebbero analizzare molte variabili, dalle tantissime innovazioni tecnologiche alle evoluzioni socio-economiche, però qualche riflessione si può fare.

L’incremento produttivo dal 1869 al 1953 (aumento di 12 volte) è avvenuto in totale assenza di una normativa sulla tipicità e senza dubbio l’applicazione delle conoscenze in campo tecnologico hanno avuto un peso importantissimo. Il formaggio dell’800 non era come quello di oggi, ad esempio, per conferire il colore giallo si aggiungeva lo zafferano, le quantità di latte erano talmente modeste che in quasi tutti i caseifici il formaggio si faceva con il latte di due e più giorni, le bacinelle di affioramento erano di legno, il siero innesto, per migliorare la qualità del formaggio e ridurre gli scarti (si dice superiori al 20%) viene adottato solo al nei primi anni del ‘900.

La produttività era bassissima tenuto conto che il 60% della popolazione della provincia, ca. 250 mila persone sulla base del censimento del 1871, era dedita alla attività agricola.

In 160 anni la popolazione è raddoppiata ma il prodotto è aumentato di 50 volte e solo il 3% della popolazione è oggi dedita ad attività agricole.

Dal 1953 l’aumento della produzione è di quasi 4 volte ed è avvenuto in un periodo di regolamentazione della tipicità, forse, il formaggio ha caratteristiche simili, ma il sistema produttivo è completamente cambiato, dall’allevamento al caseificio. Le vacche del ’53 producevano sui 33 q.li di latte oggi si passano i 100 q.li. Nella sola provincia di Reggio Emilia poco meno di 200 allevatori producono il 70 % dei 6 milioni di q.li di latte. Oggi il formaggio si produce tutto l’anno, il 50% dell’alimento è rappresentato da mangimi concentrati le cui materie prime sono quasi tutte importate, i prati polifiti sono stati sostituiti da erbai ad elevata produzione. I caseifici di oggi non sono certo quelli degli anni ’50. Mediamente un caseificio produce 55 forme al giorno, ma ce ne sono di quelli che ne producono più di 150. I magazzini sono tutti dotati di impianti di condizionamento, le vasche per la salamoia sono del tipo ad immersione totale della forma, la pulizia delle forme è completamente robotizzata.

In questi ultimi anni il sistema di vendita porzionato è stato completamente rivoluzionato da macchine che sono in grado di porzionare il prodotto in confezioni di qualche etto (200-300 gr) è la tradizionale “punta” da chilogrammo è praticamente sparita dai supermercati che si trovano fuori dalla zona tipica.

La crescita a dir poco esponenziale è stata possibile, solo perché anziché fare riferimento al know-how tradizionale si è fatto leva sulla modifica continua e costante delle norme (disciplinari) sulla base delle esigenze del mercato in sfregio alla tipicità del prodotto e dei sistemi di produzione.

Veniamo ora al motto del Grana Padano: “Da quasi mille anni abbracciano i valori italiani”.

In questo caso le osservazioni a carattere storico sono importanti. A quale Italia si riferisce l’anonimo estensore della frase? Non certamente a quella di Roma, la caduta dell’Impero Romano d’occidente è datata 476 d.c. e da allora fino al 1861 è difficile parlare d’Italia. Il Grana Padano viene prodotto nelle regioni del nord, Piemonte, Lombardia (una parte) Veneto, Trentino ed Emilia Romagna (una parte) come fa la produzione del Grana Padano ad abbracciare i valori del resto dell’Italia.

Se i “valori” non sono quelli che si basano sul territorio si fa forse riferimento a quelli etici e morali? Anche in questo caso l’italianità è piuttosto lacunosa e carente. Fino allo scisma luterano del 1521 la chiesa di Roma non era certo esempio di virtù. Papi e cardinali si comportavano peggio di certi monarchi guerrieri. Solo il grande monachesimo francescano e benedettino hanno saputo tener fede al messaggio evangelico. In epoche più recenti le grandi rivoluzioni, dalla dichiarazione d’indipendenza delle colonie americane, la rivoluzione francese del 1789 e quella russa del 1917 hanno completamente rimodellato valori etici, morali e sociali della nostra società. Tutti questi movimenti di italiano hanno ben poco.

Il motto del Grana Padano, non essendo definito è pertanto ambiguo e inconsistente, una pura e semplice campagna di marketing.

Se si fa un “viaggio nel passato” sulla base di notizie falsificate e non vere quale mai potrà essere il futuro !!.

Prospetto: Confronto delle caratteristiche qualitative e produttive dei due formaggi “grana” riconosciuti dal DPR 1269 del 1955

Aspetti quali-quantitativi

Parmigiano-Reggiano

Grana Padano

Caratteristica

Formaggio semigrasso a pasta dura, cotta ed a lenta maturazione, prodotto con coagulo ad acidità di fermentazione, dal latte di vacca, proveniente da animali, in genere, a periodo di lattazione stagionale, la cui alimentazione base è costituita da foraggi di prato polifita o di medicaio.

Formaggio semigrasso a pasta dura, cotta ed a lenta maturazione, prodotto con coagulo ad acidità di fermentazione, da latte di vacca la cui alimentazione base è costituita da foraggi verdi o conservati,

Mungitura

Viene impiegato il latte delle mungiture della sera e del mattino, riposato e parzialmente scremato per affioramento.

proveniente da due mungiture giornaliere riposato, e parzialmente scremato per affioramento

Periodo di produzione

Si fabbrica nel periodo compreso tra il 1° aprile e l’11 novembre

Si fabbrica tutto l’anno

Cagliatura e salatura

La cagliatura è effettuata con caglio di vitello. Non è ammesso l’impiego di sostanze antifermentative. Dopo qualche giorno si procede alla salatura, che viene praticata per 20-30 giorni

Non indicato

Maturazione

La maturazione è naturale e deve protrarsi almeno fino al termine dell’estate dell’anno successivo a quello di produzione,

La maturazione naturale viene effettuata conservando il prodotto in ambiente con temperatura da 12 a 22 °C

Resistenza alla maturazione

per quanto la resistenza alla maturazione sia anche superiore

Da uno a due anni

Utilizzo

Il formaggio stagionato è usato da tavola o da grattugia e presenta le seguenti caratteristiche

Formaggio da tavola o da grattugia

Forma

Forma cilindrica a scalzo leggermente convesso o quasi dritto con facce piane leggermente orlate

Forma cilindrica a scalzo leggermente convesso o quasi dritto con facce piane leggermente orlate

Dimensioni forma

Diametro da 35 a 45 cm, altezza dello scalzo da 18 a 24 cm.

Diametro da 35 a 45 cm: altezza dello scalzo da 18 a 25 cm. Con variazioni per entrambi in più o meno, in rapporto alle condizioni tecniche di produzione

Peso

Peso minimo della forma kg. 24.

Peso da 24 a 40 kg. Per forme. Nessuna forma deve avere un peso inferiore a kg 24.

Confezione esterna

Tinta scura ed oleatura

Tinta scura ed oleatura

Colore della pasta

Da leggermente paglierino a paglierino

Bianco o paglierino

Aromi e sapori

Aroma e sapore della pasta caratteristici: fragrante, delicato, saporito ma non piccante

Aroma e sapore della pasta caratteristici: fragrante e delicato.

Struttura della pasta

Struttura della pasta: minutamente granulosa, frattura a scaglia; occhiatura minuta, appena visibile.

Struttura della pasta: finemente granulosa, frattura radiale a scaglia; occhiatura: appena visibile.

Spessore della crosta

Spessore della crosta: circa 6 mm

Spessore della crosta: da 4 a 8 mm.

Grasso sulla sostanza secca

Grasso sulla sostanza secca: minimo 32%

Grasso sulla sostanza secca: minimo 32%

Zona di produzione

Zona di produzione: territori delle provincie di Bologna, alla sinistra del fiume reno, Mantova alla destra del fiume Po, Modena, Parma e Reggio Emilia

Zona di produzione: territorio delle provincie di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino, Vercelli, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova a sinistra del Po, Milano, Pavia, Sondrio, Varese, Trento, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza, Bologna a destra del fiume Reno, Ferrara, Forlì, Piacenza e Ravenna,

 


lunedì, agosto 12, 2024

1954 – 1955 Parmigiano Reggiano e Grana Padano: uno comunista l’altro democristiano?

La rassegna stampa di cui ho parlato nel post dell’11 agosto 2024 riporta la cronaca della fondazione del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano a seguito della emanazione del Decreto del Presidente della Repubblica n° 1099 del 18 novembre 1953, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 47 del 26 febbraio 1954 il quale recepisce il protocollo della convenzione di Stresa del 1° giugno 1951 sull’uso delle denominazioni d’origine tipiche dei formaggi. La convezione di Stresa rappresenta la “pietra miliare” per la tutela internazionale delle denominazioni dei prodotti alimentari tipici.

Sull’argomento sono riportati i seguenti articoli:

·       L’Unità del 11 febbraio ‘54 titola: “Occorre difendere il Parmigiano-Reggiano dalle speculazioni dei gruppi monopolisti” di Aldo Magnani

·       Gazzetta di Reggio del 5 marzo ’54 titola: “Ratificata la convenzione di Stresa sull’uso delle denominazioni tipiche”

·       Gazzetta di Reggio del 10 marzo ’54 titola “Prossimo il riconoscimento del Parmigiano Reggiano” di A. Lusuardi, il quale riferisce che in tempi brevi sarà emanata la legislazione per il riconoscimento delle denominazioni in quanto la Convenzione stabilisce termini temporali precisi per l’esercizio del diritto di riconoscimento

·       Il Sole del 17 marzo ’54 riporta il testo integrale del disegno di legge trasmesso alla Camera dopo l’approvazione in sede deliberante da parte della Commissione Agricoltura del Senato.

Il disegno di legge viene modificato dalla Camera, ma in tempi stretti viene definitivamente approvato dal Senato e pertanto viene promulgata la legge 125 del 10 aprile 1954. La legge stabilisce importanti principi normativi:

·       All’art. 4 … la costituzione presso Ministero dell'agricoltura e delle foreste il Comitato nazionale per la tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi.

·       All’art. 7 La vigilanza per l'applicazione delle disposizioni contenute nella presente legge è svolta dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste e da quello dell'industria e commercio. I Ministeri suddetti, di concerto fra loro e previo il parere del Comitato previsto dall'art. 5, con decreto da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, possono affidare l'incarico della vigilanza sulla produzione e sul commercio dei formaggi con denominazione di origine o tipica riconosciuta a Consorzi volontari di produzione.

·       Nell’allegato A - Caratteristiche e zone di produzione dei formaggi per i quali è riservato l'uso dei nominativi d'origine l’elenco dei formaggi tipici è il seguente: Gorgonzola; Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano;

·       Nell’allegato B - Caratteristiche dei formaggi per i quali è riservato l'uso delle denominazioni l’elenco dei formaggi è il seguente: Asiago, Fiore Sardo; Caciocavallo, Fontina e Provolone.

Sull’importanza del Comitato la Gazzetta di Reggio ne riferisce in un articolo del 9 aprile 1954 – (un giorno prima della pubblicazione sulla G.U. della legge 125) intitolato: “Il Comitato dei dodici tutelerà le denominazioni d’origine dei formaggi” scrive: “I compiti del Comitato, inutile sottolinearlo, sono vastissimi e assai delicati poiché inferiscono direttamente alla materia che intende tutelare… “ sin dalle prime riunioni si manifesteranno rivalità e posizioni differenti che, a mio parere, riflettevano posizioni politiche contrapposte.

La vigilanza sulla produzione e commercializzazione viene affidata a Consorzi volontari ed è per questa ragione che il  24 luglio 1954 è convocata l’assemblea straordinaria del Consorzio Volontario Interprovinciale Grana Tipico (fondato il 27 luglio del 1934) nella quale viene deliberata la proroga dell’ente tre 3 anni (la scadenza naturale era al 27 luglio del 1954) e, cosa più importante il cambio di denominazione in Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano. Denominazione tutt’ora in vigore. (ne riferisce la “Cooperazione Reggiana” in un articolo del 30 luglio 1954.

I due allegati A e B della legge 125 mettono in evidenza l’importante differenza tra formaggi tipici prodotti in una specifica area geografica, ben delimitata, con specifici disciplinari di produzione, (allegato A) e quelli sulla con disciplinare ma non necessariamente prodotti in una zona definita. In definitiva si tratta dei precursori, a grandi linee, delle produzioni che oggi chiamiamo DOP (Denominazione d’origine protetta) e IGP (Indicazione geografica protetta).

Voglio evidenziare che nei due allegati non viene nominato il Grana Padano.

In questa sede non intendo affrontare la delicata querelle sull’origine dei formaggi tipo “grana” (chi è nato per primo? il Parmigiano, il Reggiano, il Lodigiano, il Piacentino, ecc..) che per sommi capi considero speciosa e inconcludente perché l’origine è senza dubbio comune, poi sono state introdotte tecniche casearie che hanno portato alla diversificazione dei formaggi, più o meno significative.

Mentre nella zona del Parmigiano Reggiano si discute sul da farsi è bene sapere che il 18 giugno del 1954 Assolatte (Associazione delle industrie lattiero casearie) e Federlatte (Associazione delle cooperative casearie) fondano il Consorzio del Grana Padano.

La stampa reggiana è assai prodiga nel riferire sulle vicende del Parmigiano-Reggiano (negli articoli spesso di parla anche di Reggiano-Parmigiano) ma non un solo cenno o rigo sulla fondazione del Consorzio del Grana Padano.

Il 2 settembre 1954 sulla Gazzetta di Reggio viene pubblicato l’articolo dal titolo, a caratteri cubitali, “Gli interessi della zona tipica minacciati dal Comitato Nazionale”.

Le minacce alle quali si fa riferimento sono sostanzialmente due:

1.     Ampliamento della zona di produzione del formaggio Parmigiano-Reggiano. Il Comitato si era espresso favorevolmente nel comprendere nella zona anche la provincia di Piacenza;

2.     L’uso di tecnologie casearie meno restrittive per la produzione del formaggio tipo “grana”. Si deve tener presente che:

a.     Il Parmigiano-Reggiano poteva essere prodotto solo nel periodo 1° aprile 11 novembre, era vietato l’uso di qualunque additivo antifermentativo, la stagionatura è naturale doveva durare almeno due stati di stagionatura.

b.     Il “grana” veniva prodotto tutto l’anno, si utilizzavano sostanze antifermentative ed infine era ammessa una stagionatura forzata

Da quanto esposto emerge in modo evidente che le ragioni dei produttori di Parmigiano-Reggiano sono inconciliabili con quelle dei “padanisti”.

Il dibattito si infiamma, riunioni, convegni, interpellanze, lettere al ministro dell’Agricoltura, Senatore Giuseppe Medici. Segnalo che un articolo sull”Unità” del 27 ottobre ’54 riferisce che il Tribunale di Reggio Emilia e la Corte d’Appello di Bologna non hanno convalidato l’assemblea del Consorzio Volontario Interprovinciale Grana Tipico e pertanto ne decretano la liquidazione. Ennesima “doccia fredda” alla quale il mondo cooperativo reagisce prontamente e l’8 novembre viene convocata una assemblea straordinaria per l’approvazione di un nuovo statuto del Consorzio.

Gli articoli riportati dalla rassegna stampa sono numerosi ma ne voglio evidenziare uno pubblicato su “Il Lavoratore dei Campi” il 27 ottobre ’54 che titola: “Fu il rappresentante bonomiano a proporre l’allargamento della zona” e nel sottotitolo si scrive: “Con questa nota il rag. Salvarani smentisce nuovamente Benvenuti. Dopo aver tradito gli interessi dei produttori, bonomiani e agrari vorrebbero rifarsi una verginità”.

Per chi non lo sa Paolo Bonomi, democristiano, fondò l’associazione agricola dei “Coltivatori Diretti” (Coldiretti) fu politico assai influente in quanto riuscì a controllare la potente organizzazione dei Consorzi Agrari (https://www.coldiretti.it/archivio/unita-italia-cento-anni-fa-nasceva-paolo-bonomi-il-fondatore-della-coldiretti-02-07-2010)

Non so nulla del citato Benvenuti, ma ritengo sia dirigente locale della Coldiretti.

La nota del rag. Salvarani, riferisce in modo assai puntuale e convincente come il Comitato ministeriale fosse stato fortemente condizionato dalla Coldiretti (esattamente come succede oggi Coldiretti fa pesare il suo potere politico) al fine di ottenere l’allargamento della zona di produzione e la conseguente modifica del rigido disciplinare in vigore per la produzione del Parmigiano-Reggiano.

La reazione locale fu dura e strategicamente vincente in quanto riuscì ad aggregare il mondo della cooperazione, tecnici, ed esperti del settore, e al tempo stesso ridimensionare il ruolo locale dei dirigenti Coldiretti.

Il risultato di tale azione combinata conseguì il risultato che nulla di quanto proposto dalla Comitato ministeriale si concretizzò a danno del Parmigiano-Reggiano.

Fu vittoria di “Pirro”, perché i bonomiani avevano già pronto il piano B. Avendo costituito il Consorzio del Grana Padano è stato relativamente facile procedere al riconoscimento della denominazione tipica. Nel Decreto del Presidente della repubblica del 30 ottobre 1955 n° 1269 il Grana Padano è compreso nell’elenco dei formaggi a denominazione tipica con la definizione del metodo di produzione, caratteristiche merceologiche e zona di produzione.

La politica “rossa” è riuscita ad avere il formaggio grana “Parmigiano- Reggiano” e la politica “bianca” il Grana Padano.

Da allora i due formaggi grana hanno avuto evoluzioni differenti sia in termini quantitativi che qualitativi.

Coldiretti si è presa la sua rivincita tanto che oggi il Presidente del Consorzio del formaggio Parmigiano-Reggiano è anche Presidente della Coldiretti dell’Emilia Romagna e Vice Presidente Nazionale.

Anche il mercato si prende la sua rivincita tanto che in un noto supermercato situato nella “culla” del Parmigiano-Reggiano i due “grana” vengono offerti allo stesso prezzo (vedi foto).


Lascio al lettore i commenti….

domenica, agosto 11, 2024

Una rassegna stampa datata 1954 e 1955

    Dal 1° novembre 2024, sarò in pensione per “raggiunti limiti di età”. In questo periodo sto riordinando documenti, libri e materiale vario accumulati in 45 anni di attività di studio e di ricerca. È arrivato il momento di fare un po' di “pulizia”. Sul fondo di un armadio ho trovato due faldoni uno datato 1954 e l’altro 1955. Devo ammettere che non ricordo assolutamente quando ne sono venuto in possesso e soprattutto chi potrebbe avermeli ha donati.

L’anonimo compilatore la rassegna stampa ha incollato su un cartoncino della dimensione del vecchio formato dei quotidiani 35 x 50 centimetri, i ritagli degli articoli, quasi tutti della stampa reggiana, riguardanti tematiche economiche e sociali.

Gli articoli sono ordinati cronologicamente e raggruppati per argomento, pertanto l’anonimo compilatore durante l’anno ha raccolto sistematicamente il materiale poi a fine anno ha incollato sul cartoncino i singoli articoli e “impaginato” la rassegna stampa.

A dire il vero i faldoni, data la dimensione sono di facile consultazione ma non si può dire altrettanto per la lettura, sono un po' troppo ingombranti da maneggiare

Gli argomenti riportati riguardano prevalentemente l’economia agraria e gli articoli sono molto interessanti perché ci permettono di comprendere come decisioni prese 70 anni fa condizionano tutt’ora importanti attività produttive.

È mia intenzione prendere spunti da questo materiale giornalistico per fare approfondimenti e valutazioni su questioni che sono ancora attuali.

Per evitare che una documentazione così interessante possa andare perduta ho deciso di digitalizzare, in formato .pdf, l’intero contenuto dei due faldoni. Il formato pdf permette altresì una facile leggibilità e l’indice degli argomenti, che riporto di seguito, ci permette di sfogliare più agevolmente la rassegna stampa.

Se qualche lettore di questo post è interessato può fare richiesta dell’intera rassegna stampa inviando una mail a piero.nasuelli@unibo.it

Rassegna stampa 1954

Indice complessivo della rassegna stampa

Indice per argomento

Latte alimentare (pagg. da 1 a 4)

Latte industriale (pagg. da 5 a 10)

Formaggio grana (pagg. da 11 a 32)

Lattiero caseari (pagg. da 33 a 46)

Prezzi (pagg. da 47 a 52)

Allevamento suini (pagg. da 53 a 56)

Agricoltura (pagg. da 57 a 72)

Materie tributarie (pagg. da 73 a 88)

Edilizia e lavori pubblici (pagg, 89 a 100)

Costruzione del nuovo ospedale (pagg. da 101 a 104)

Lavori pubblici – stradali – autostrade (pagg. da 105 a 108)

Lavori pubblici – scuole (pagg. da 109  a 112)

Assistenza e disoccupazione (pagg. da 113 a 114)

Polemica con L’Unità sugli scambi commerciali con l’U.R.S.S. (pagg. da 115 a 116)

Varie (pagg. da 117 a 136)

Varie e mostre (pagg. da 137 a 155)

 

Rassegna stampa 1955

Indice complessivo della rassegna stampa

Indice per argomento

Latte alimentare (pagg. da 1 a 4)

Latte industriale (pagg. da 5 a 10)

Formaggio grana (pagg. da 11 a 26)

Lattiero caseario (pagg. da 27 a 36)

Agricoltura (pagg. da 37 a 42)

Bestiame dall’allevamento – Bovino – Suino (pagg. da 43 a 48)

Comitato prezzi (pagg. da 49 a 50)

Materie tributarie (pagg. da 51 a 58)

Convegni economici locali (pagg. da 59 a 68)

Edilizia e opere pubbliche (pagg. da 69 a 74)

Cantieri scuola (pagg. da 75 a 80)

Autostrade (pagg. da 81 a 88)

Mostre e fiere (pagg. da 89 a 104)

Varie (pagg. da 105 a 112)